Quando sei nel mezzo del deserto, senza rete, senza doccia, senza punti di riferimento… accade qualcosa. Smetti di viaggiare per vedere, e inizi a vedere per esistere. Questo è successo a me, durante gli ultimi giorni di bikepacking in Kazakistan, nel Mangystau, una delle regioni più remote e inospitali – eppure accoglienti – che io abbia mai attraversato in bici.

Tra cavalli, dune e yurte nel nulla
Dopo la parentesi selvaggia di Bokty, rientriamo a Senek, dove una famiglia ci ospita in un piccolo locale adiacente alla loro casa. Niente letti, solo tappeti, animali domestici e… una latrina condivisa con 2 cammelli, un cavallo e 3 pecore. Ci laviamo versandoci l’acqua con la bacinella. Pochi comfort, tanta verità.
La sera li osserviamo ripulire i cammelli dalle zecche con pinze da ferramenta. Il gesto è lento, rispettoso. Penso a quanto sia lontano da tutto questo il nostro mondo di fretta e disinfettanti.

Ayrakty, l’Arizona dei sogni
Pedaliamo verso le montagne di Ayrakty, che sembrano uscite da un film western: pinnacoli rossi, cavalli selvaggi in cerca d’ombra, un silenzio assoluto. Mi separo dal gruppo per restare qualche ora in più.
“Da solo in mezzo a quelle rocce, ho sentito una libertà totale. Ma anche una sete micidiale. Ho bevuto quasi 8 litri. Ogni goccia, un lusso.”

Sherkala e la valle delle sfere
Ripartiamo verso nord e raggiungiamo Sherkala, una montagna isolata simile a un panettone colorato. Da lì, dopo una notte in tenda, affrontiamo l’ultima vera meta del viaggio: Torysh, conosciuta come Valley of Balls. Migliaia di sfere rocciose perfettamente tonde, grandi come palloni da palestra, sparse nel deserto come biglie degli dei.
“La scienza non sa ancora spiegarle, ma io non avevo bisogno di una spiegazione. Bastava esserci.”
Incontriamo 3 camperisti europei con veicoli trasformati in astronavi da deserto. Uno di loro ha speso 250.000 euro per farsi il suo Iveco 4×4. Ma la vera ricchezza, penso, è quella che abbiamo addosso: chilometri, fatica, incontri e sabbia nei vestiti.

Il ritorno al Mar Caspio (e alle palme di plastica)
Riprendiamo la costa, direzione Saura. Dormiamo in un villaggio con yurte disabitate. Il custode ci offre ospitalità. La doccia è calda, l’aria profuma di sale. Sulle rocce scorgiamo foche che prendono il sole e serpenti che si tuffano in mare.
Il viaggio si chiude ad Aktau, con una notte in hotel e una visita alla città. Il lungomare è ampio, tutto pavimentato. Lì scopro che le palme sono finte. Plastica e ferro. Un simbolo involontario, perfetto per il finale: qualcosa che vuole sembrare vero, ma non lo è. Esattamente il contrario di quello che abbiamo vissuto.

Equipaggiamento VAUDE – alleato di viaggio fino all’ultimo chilometro
Anche in questa terza parte del nostro bikepacking in Kazakistan, il set VAUDE si è dimostrato all’altezza:
Usi extra che non ci aspettavamo:
- Lo zaino Trailpack II usato come sacca da doccia, o per trasportare l’acqua raccolta nelle sorgenti
- Le borse posteriori come cuscini, appoggio per cucinare, seduta da campo
- La Trailframe II utile anche per trasportare oggetti fragili (come vasetti di vetro con miele locale…)
“Le borse VAUDE non sono solo contenitori. Diventano strumenti di sopravvivenza creativa.”
Durante tutto il viaggio non abbiamo avuto nessun guasto, nessun cedimento. E dopo 950 km di fango, sabbia, sole e pietre, non chiedi di meglio.

Considerazioni finali
Il Mangystau non è per tutti. Serve adattabilità, rispetto, spirito di avventura. Ma se hai voglia di ritrovare l’essenziale, di farti sorprendere dall’umano e dal selvaggio, allora è il viaggio che fa per te.
“Non ho riportato a casa souvenir. Ma ho una nuova idea di tempo, e di cosa conta davvero quando sei in movimento.”