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Economia e futuro dei rifugi alpini – Parte 2

Quali sono i veri costi di un rifugio e come sta cambiando la frequentazione?

Cecilia Mariani Scritto il
da Cecilia Mariani

Negli ultimi anni, la montagna ha assistito a un cambio di passo evidente, sia dal punto di vista di chi la frequenta e sia nel modo in cui viene frequentata. I rifugi non sono più solo luoghi spartani dove passare la notte prima di un’ascesa importante. Sono diventati mete vere e proprie, in certi casi quasi turistiche, frequentate da un pubblico sempre più ampio e variegato. Non è un male, anzi. Ma è un cambiamento che impone una riflessione: qual è il futuro dei rifugi alpini? E soprattutto, come possono evolvere senza perdere il loro spirito originario? Ne ho parlato con Marco ed Emma, gestori di due rifugi delle Dolomiti, e ne sono uscite alcune riflessioni interessanti.

Rifugio
Rifugio Nuvolau. Ph. Cecilia Mariani

Un nuovo tipo di frequentatore

Le montagne sono diventate più accessibili e cono esse anche i rifugi. Si è diffusa una nuova cultura della montagna, fatta di camminatori occasionali, famiglie, viaggiatori alla ricerca di un’esperienza “immersiva” ma anche comoda. Sempre più persone frequentano i sentieri e salgono in montagna per vivere una giornata tra i panorami, immersi in quella “natura” da cui ci stiamo allontanando sempre di più. Nulla di male, ovviamente, ma è chiaro che questo cambiamento di pubblico sta influenzando anche le aspettative nei confronti dei rifugi.

Dolomiti
Uno dei sentieri per raggiungere il Rifugio Vazzoler, ai piedi del Civetta. Ph. Cecilia Mariani

Il rischio degli hotel d’alta quota

Ne ho parlato con Marco, gestore del Rifugio Vazzoler, ed Emma, gestrice del Rifugio Nuvolau. Entrambi sono d’accordo su un punto fondamentale: la richiesta crescente di servizi rischia di spingere i rifugi verso una trasformazione che li snatura. “Sempre più utenti – mi raccontano – vogliono camere private, bagni in camera, docce calde, cibo vario e abbondante. Ma il rifugio non è (o non dovrebbe essere) un hotel d’alta quota”.

Eppure in alcune zone, soprattutto nelle Dolomiti, questa trasformazione è già visibile: rifugi sempre più simili a strutture alberghiere, con prezzi alti e comfort a cinque stelle. È il modello giusto? Per alcuni sembra esserlo. Ma, per molti altri, il rischio è quello di perdere l’anima del rifugio.

Siccità in montagna
Il Rifugio Locatelli alle Tre Cime di Lavaredo. Ph. Cecilia Mariani

Comfort sì, ma con misura

Marco ha le idee chiare: “penso che l’immagine del rifugio alpino di 50 anni fa sia destinata a scomparire. L’approccio alla montagna è cambiato: oggi molte persone cercano un’esperienza che bilanci l’immersione nella natura con un certo livello di comfort. Non si tratta più unicamente di ‘sopravvivere’ in alta quota, ma di godere appieno della bellezza del paesaggio potendo contare su servizi essenziali. Una stanza con pochi posti letto, un materasso comodo, una presa per ricaricare i telefoni e una doccia calda fanno una grande differenza, senza necessariamente snaturare lo spirito del rifugio. La prospettiva di una notte su un tavolato condiviso con decine di persone ha sicuramente meno attrattiva per molti, me compreso. Tuttavia, è fondamentale trovare un equilibrio.”

Emma è sulla stessa linea: il cambiamento è inevitabile, ma va gestito con attenzione. “un rifugio può offrire più servizi senza diventare un hotel. Può restare fedele alla sua identità, continuare a essere un punto d’appoggio per chi vive la montagna in modo autentico”.

Rifugio
Tramonto al Rifugio Nuvolau. Ph. Cecilia Mariani

Un rifugio moderno, ma senza perdere l’identità

Ciò che emerge da queste conversazioni è che il rifugio del futuro non sarà più quello della coperta di lana ruvida e della camerata affollata per forza di cose, ma non sarà nemmeno un resort. Potrà (e forse dovrà) dotarsi di spazi più funzionali – come una stanza per asciugare l’attrezzatura, bagni più accessibili, una zona di ricarica – senza perdere di vista la propria missione: offrire accoglienza in quota, in armonia con l’ambiente e con la cultura della montagna.

Marco lo riassume bene: “ho notato anch’io come alcuni rifugi stiano virando verso modelli che assomigliano sempre più a degli hotel d’alta quota, perdendo forse un po’ della loro autenticità e del loro legame con la vera essenza della montagna. Credo fermamente che la direzione giusta stia nel mezzo: offrire quei piccoli comfort che migliorano significativamente l’esperienza degli ospiti senza trasformare il rifugio in una struttura alberghiera. Integrare questi servizi non significa rinunciare allo spirito del rifugio, anzi, può rendere il soggiorno più piacevole e accessibile a un pubblico più ampio, pur mantenendo quel legame speciale con la montagna. Il futuro del rifugio alpino, a mio avviso, risiede in questa capacità di evolvere, offrendo un’ospitalità moderna e attenta alle esigenze degli escursionisti, senza dimenticare la sua vocazione originaria di punto d’appoggio sicuro e accogliente nel cuore della montagna.”

Rifugio
Rifugio Vazzoler. Ph. Cecilia Mariani

Non solo strutture, ma esperienze umane

C’è un altro elemento che non va dimenticato: i rifugi sono, prima di tutto, luoghi di incontro. Il valore più grande di una notte in rifugio non è il letto comodo o la cena gourmet, ma la chiacchierata a tavola con uno sconosciuto, il confronto tra escursionisti, la condivisione della fatica e della bellezza. È l’atmosfera che fa la differenza, quel senso di comunità che si crea a 2.000 metri quando tutti sono lì per lo stesso motivo: vivere la montagna.

Trekking in Dolomiti. Ph. Cecilia Mariani

Educare per non snaturare

Il cambiamento è inevitabile, ma non deve essere passivo. Credo che la chiave per un futuro sostenibile dei rifugi sia anche culturale: raccontare la loro storia, spiegare cos’erano, cos’è cambiato e cosa rischiano di diventare. Solo così chi li frequenta potrà comprenderne davvero il valore e contribuire, anche con le proprie scelte, a preservarli.

La comodità ha il suo peso, certo, ma la vera bellezza di un rifugio sarà sempre data dalle persone che lo abitano, anche solo per una notte. Dalla semplicità delle cose fatte con cura, dalla natura che ti circonda e dal rispetto per un luogo che non è solo un tetto sopra la testa, ma un pezzo vivo di montagna.

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